di Luigi BERRI
Falco "F.8L - america"
Dopo tanto vagabondare per aeroporti vari, da qualche tempo avevo piantato le tende all’Aeroclub di Roma. E, come ogni ammalato di “aerite” che si rispetti, cercavo non solo di volare, ma di fare i passaggi su più aerei possibile. Parlando di passaggi intendo le certificazioni ufficiali che si ottenevano con tanto di timbro sul brevetto da parte non ricordo se di Civilavia e/o dell’Aeroclub d’Italia, per avere le quali, oltre alcuni voli con gli istruttori del mezzo e qualche ora di volo solista, si doveva effettuare la prova barografica (con barografo a bordo che sul lettore cartaceo certificava l’andamento del volo, la durata, le quote previste, ecc), ovvero tutto quanto occorreva a quei tempi per ottenere il sospirato passaggio sull’aereo che si desiderava.
Si parla dell’inizio degli anni settanta. A quell’epoca l’Aeroclub disponeva, se ben ricordo, di vari aerei. L’aereo scuola base erano i sempiterni FL-3 (ben 7 in tutto), ed anche un FL-55 su cui non volava quasi nessuno. Oltre agli FL, l’aereo successivo era per chi lo desiderava il più potente L5. Ma degli FL-3 e dell’L5 già avevo le abilitazioni -insieme al Macchi M416 e all’MB 308, il famoso “Macchino” entrambi però non in dotazione al Club.- Poi l’Aeroclub disponeva quali monomotori per i soci di un Cessna 170, di un P-64 e di uno o due SIAI-205 180CV a carrello fisso, tutti quadriposto, nonchè di un appetitoso quanto difficile Tiger Moth bianco e rosso matr.I-JENA. Vi erano anche due bimotori Piper Apache e Piper Aztec. Alla fine arrivarono quasi insieme i primi P-66 100 CV, biposto, che per noi erano un sogno: tutti metallici, performanti, silenziosi, facili. (I-SCAS quello rosso, I-OCAS quello bianco).
Ovvio che nel più breve tempo possibile feci il sospirato passaggio su tutti, compreso il Tiger. Per i bimotori il discorso era per il momento rimandato… ai tempi di maggior pecunia. In hangar vi erano anche un G-46 e un MB 308 però di proprietà di privati.
Questo excursus precede i fatti che sto per narrare.
Spesso atterravano all’Urbe altri aerei, sia italiani che stranieri, compresi poderosi T6 da qualche scuola di volo militare.
Ma ciò che mi colpì oltre il lecito, un bel pomeriggio arrivò un “Falco” dell’ultima serie (italiana), e vi rimase per un paio d’ore. Ala bassa, argenteo, biposto, forme affusolate, carrello retrattile. Un gioiello.
Guardinghi, quasi timorosi, tutti i piloti in quel momento a terra, si accostarono al “Falco” con rispetto e soggezione, come si deve a ciò che è considerato un’opera d’arte, per noi piccoli manovali dell’aria discesi dal cielo da “miserelle utilitarie” tipo FL3 o similari. Lo ammiravamo, come oggi -che so?-, si ammira un prototipo di FERRARI o di LAMBORGHINI appena uscito di fabbrica e difficile da vedere in giro.-
Per me vederlo sul piazzale dell’aeroporto dell’Urbe ed “innamorami” fu tutt’uno. Per chi non lo avesse presente, l’ F.8-L “Falco” è stato uno dei più belli, se non il più bello in assoluto, tra gli aerei disegnati e progettati dal mitico ing. Stelio FRATI: tanto per dirne una, dal suo disegno e dalla sua filosofia progettuale è stato in seguito creato il SIAI SF 260, che tanto successo ha avuto come aereo di 1° periodo presso varie scuole militari nel mondo: e che vola tuttora anche in Italia in mano di qualche appassionato.
Breve cronistoria: il Falco venne costruito dal 1956 al 1959 interamente in legno dall’Aviamilano in due versioni con motorizzazioni Lycoming da 135cv e da 150cv. In seguito venne ripreso e costruito dalla Aeromere con il nominativo di -america- in conformità con le “US airworthiness requirements”, e poi nel 1968 ne furono costruiti da Laverda una ventina di esemplari in metallo e con motore Lycoming 160cv). E’ obbligatorio aggiungere che a tutt’oggi, specie negli U.S.A., vi sono molti appassionati che costruiscono amatorialmente il Falco riprendendo i piani originali e vi volano regolarmente. Anzi vi è una fabbrica la Sequoia Aircraft Company che lo vende in kit o lo costruisce addirittura tuttora su ordinazione!
Non era la prima volta che simili uccelli venivano a farci visita all’Urbe, ma in genere ripartivano subito dopo aver fatto carburante. Ogni volta però l’attrazione era tanta. Stavolta il gentile proprietario mi permise di salirci a bordo. Un vero e proprio “bozzolo”, che sembrava costruito per me su misura da un sarto. di alta moda….Eccetto i sedili un po’ spartani, il resto era di austera classe: cinture su 4 punti, poggiagomiti, tutti i comandi a portata di avambraccio, senza allungare la braccia….Per farla breve, il proprietario Andrea, vedendo il mio incontenibile entusiasmo, non fece nulla per smorzarlo. Diventammo in un secondo amici. Feci un volo con lui e subito dopo un altro. Andrea si era da poco basato con il suo Falco a Ciampino, e all’Urbe sarebbe venuto settimanalmente se non più spesso. E -guarda un po’ il caso!- c’era un istruttore all’Urbe abilitato sul Falco….
Senza nemmeno troppo insistere Andrea mi consentì di ottenere l’abilitazione sul gioiello. Così io mi feci i miei voli -pagando s’intende- prima con l’istruttore e poi da solista, finchè non raggiunsi le ore necessarie per ottenere il passaggio.
Il mio grazie ad Andrea, purtroppo oggi scomparso, rimarrà per l’eterno.
Due parole sul mezzo: all’interno l’aereo era abbastanza insonorizzato, al punto che ci si volava senza cuffie. La radio con ’altoparlante a bordo erano più che sufficienti. La velocità era adrenalinica per i tempi, trattandosi nel caso di aereo ad elica fissa. Le sue performance erano le seguenti:VNE 385 km/h (209 knots, 240 mph). Velocità max in volo livellato a livello del mare 325 km/h (176 knots, 202 mph). Velocità di crociera economica 250 km/h (135 knots, 155 mph). Velocità di stallo con 30°di flap 98 km/h (53 knots, 61 mph). E non so se mi spiego…
La goduria massima era però quella di affiancare un altro aereo (di quelli considerati veloci) fare un sorrisetto, un salutino, e poi dare un “pochino” di gas…La freccetta Falco dopo pochi attimi era un puntino lontano di prua.
E visto che stiamo in tema Falco, non posso non parlare dello “strano” incidente capitato ad un altro Falco suppergiù nella stessa epoca.
Quel pomeriggio, fatto rifornimento, il dottore farmacista proprietario decide di effettuare un volo locale con rientro all’Urbe, prima di ripartire per Latina. Decolla e dopo una mezzora, il Falco si ripropone, con la sua inconfondibile filante sagoma, prima sottovento per pista 34, poi in base, carrello e flap estesi.
Mentre è in lungo finale, contro il cielo chiaro si staglia indelebile il particolare che al carrello destro -bellamente esteso- mancava la ruota di atterraggio!! In un attimo, gridando all’unisono (“diglielo! Non farlo atterrare!), allertiamo il segnavoli che dal suo gabbiotto a sua volta allarma il controllore sulla torre che, appena in tempo, avvisa via radio il pilota dell’evento. Rombando a due metri dal suolo il Falco riattacca, ripassa una volta sul campo, un’altra sulla torre, poi si allontana….
Qui qualcuno direbbe “fine della storia”. E no! Noi a terra ci siamo interrogati e ci siamo detti inizialmente cosa avrebbe fatto il pilota in quelle condizioni: in particolare se sarebbe tornato a casa, o altrove; e poi ci siamo chiesti, resisi conto che il Falco poco prima era decollato con le ruote ovviamente al loro posto, come-quando-dove la ruota si era distaccata. Forse in decollo o al momento del rientro del carrello? O, come sembrava più probabile, al momento della sua riapertura? E se così era, dove aveva il pilota azionato il comando “gear down”? prima, durante, dopo il sottovento? a quel punto ci fu uno che giurò di aver notato il carrello abbassarsi in larga virata base: ma allora, buon Dio, lì sotto c’era la città con le sue case, e una ruota che fosse piovuta dal cielo sull’abitato non era poi cosa trascurabile….
Le domande rimasero senza risposta fino all’indomani inoltrato (all’epoca non esistevano i benedetti cellulari). Venimmo quindi a sapere: 1)- che il pilota era rientrato a Latina, e l’atterraggio sul ventre a carrello retratto si era felicemente concluso: illesi gli occupanti, danni non gravi al velivolo; 2)- che la ruota si era distaccata al momento della riapertura del carrello con le seguenti conseguenze:
- era piombata su un caseggiato nella zona di piazza Verdi e aveva sfondato il lucernario all’attico di uno studio artistico, devastandolo (fortunatamente non vi era nessuno);
- là era poi rimbalzata, ne era uscita al di fuori, ed era finita come un proiettile molti piani più in basso, dentro una fontana al centro di un cortile condominiale interno, svuotandola all’istante;
- nessun essere umano era rimasto ferito; d- tutti i ….pesci rossi, schizzati fuori dall’urto, erano deceduti…